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18/02/2015

idee

Corruzione e concussione in aumento nelle grandi imprese private

Vintiadis (Kroll): Pericolo anche per le aziende medie e piccole, poco attrezzate nella prevenzione. I meccanismi moderni del business impongono un’attenzione nuova a queste problematiche: bisogna farsi trovare pronti

Corruzione e concussione in azienda? Sono rischi destinati a crescere nel corso dei prossimi anni. È quanto emerge da un'indagine che Kroll, società di corporate intelligence specializzata tra l'altro in due diligence e compliance, ha condotto in collaborazione con Compliance Week presso quasi 200 professionisti aziendali del settore: il 2014 Anti-bribery and Corruption Benchmarking Report. Nel complesso, il 51% del campione dei professionisti attivi in ambito compliance nel settore privato ha segnalato che si aspetta un aumento di tali rischi nel corso dei prossimi due-tre anni. Sono le società di grandi dimensioni a essere maggiormente sensibili al rischio di corruzione e concussione: la percentuale infatti sale al 57% tra le società di grandi dimensioni, per scendere al 46% nelle aziende più piccole. Ma ben il 16% del campione ammette persino di non aver mai messo in atto un'attività di assessment sui rischi legati a fenomeni corruttivi che potrebbero interessare l'intera azienda.
Uno degli ostacoli alla messa in atto di adeguati programmi di prevenzione e tutela è sicuramente l'investimento –- in termini economici, di tempo e di sforzi che essi richiedono -– soprattutto per le aziende più piccole e quindi con meno risorse.

Kroll stima, per un'impresa con 3.000 terze parti, una spesa tra 1 e 2 milioni di dollari all'anno per inserire tutti le controparti in un programma di monitoraggio quadriennale. Si tratta di una spesa comunque irrisoria se paragonata alle sanzioni pecuniarie in cui si rischia di incorrere in caso di illecito. Come risparmiare sui costi? Quasi la metà degli intervistati, per esempio, dichiara di avere in qualche modo automatizzato, grazie alle più moderne tecnologie, parte dei loro programmi anti-corruzione. Anche in questo caso, la percentuale cresce quando si parla di aziende di grandi dimensioni, fino al 63,4%, e viceversa crolla drammaticamente nelle piccole (31,4%), segnale che i programmi di compliance interni a livello aziendale possono essere molto difficili da realizzare per le imprese di piccole dimensioni. In questo caso, ricorrere all'ousourcing tramite professionisti esterni potrebbe costituire un risparmio in termini di risorse aziendali coinvolte.

Una task-force anti-crisi

Conforta sapere che secondo il 70% del campione le pratiche di compliance messe in atto nei riguardi dei dipendenti interni siano efficaci o molto efficaci, un sentiment ancora più diffuso tra le società di dimensioni maggiori (la percentuale arriva al 77%), mentre anche in questo frangente la percezione nelle aziende più piccole nei confronti dei risultati è meno rosea (solo il 61% ritiene che le misure interne siano adeguate).

Ma il rovescio della medaglia è che tutte le aziende, senza distinzioni in termini dimensionali, si sentono molto meno sicure per quanto riguarda la due diligence esterna: in generale, più il dipendente opera in luoghi geograficamente vicini alla sede centrale, più il Chief Compliance Officer si convince che il messaggio anti-corruzione è stato recepito a dovere.
"Rispondere a una segnalazione di corruzione non è mai una questione di rapidità: bisogna invece pensare a cosa è meglio fare per minimizzare eventuali danni all'azienda". ha commentato Marianna Vintiadis, Managing Director di Kroll. "Si tratta di un pericolo in cui le aziende medie e piccole ritengono di incorrere meno facilmente, ma a torto: i meccanismi moderni del business, sempre più globali e complessi in termini di rapporti commerciali, impongono un'attenzione nuova a queste problematiche. Bisogna farsi trovare pronti".
"Nel caso in cui si registri un possibile episodio di corruzione all'interno dell'organizzazione aziendale, occorre per prima cosa considerare la fonte da cui arriva la denuncia di malversazione.


Tutte le segnalazioni devono essere considerate seriamente, ma non tutte, dopo attenta analisi, si rivelano credibili. È più semplice controllare le fonti quando esse sono interne all'azienda - ha proseguito Vintiadis - ma l'elemento più importante è stabilire i motivi che hanno suscitato la denuncia e la sua gravità. Queste valutazioni sono imprescindibili per poter strutturare una reazione allo stato di crisi: è molto diverso affrontare il problema se la segnalazione viene da un dipendente, scaturisce da un'indagine giornalistica o arriva direttamente dagli organi giudiziari competenti. La natura del rimedio, inoltre, deve essere analizzata anche alla luce delle possibili ripercussioni sugli stakeholder aziendali di riferimento, come fornitori, collaboratori o clienti".
"Un ulteriore elemento di rilievo è la strutturazione di un team che possa rispondere alla crisi, a partire dal top management: non c'è una figura executive più adatta di altre ad assumere il ruolo di leader delle indagini aziendali, anche se il responsabile dell'Internal Audit, il General Counsel o il Compliance Officer sono di fatto le scelte più comuni", ha concluso Vintiadis.


"Questa figura, a capo della task force anti-crisi, deve avere sufficiente indipendenza e potere per essere in grado di prendere tutte le decisioni del caso e muoversi agevolmente nell'ambiente aziendale. In alcuni casi, inoltre, diventa importante poter godere dell'immunità giudiziale e quindi è utile che si coinvolga un avvocato esterno per la gestione di una crisi."
 


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