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31/12/2014

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Giunta (Eurosearch): I manager richiesti dalle aziende

Flessibilità, mobilità internazionale, capacità di adattamento. Sono alcuni tra i requisiti considerati fondamentali da chi fa il "cacciatore di teste" di professione

Abbiamo incontrato Niccolo' Giunta, partner di Eurosearch per parlare un po' del mercato delle ricerche di lavoro per i manager e soprattutto per capire, da chi svolge il compito di "cacciatore di teste", cosa sta accadendo in Italia.

2014-15: per i manager oggi ci sono ancora delle opportunità?

Certamente. Le opportunità sono soprattutto legate alla disponibilità alla mobilità internazionale. Questo è un processo che ha origine piuttosto lontane, perché da qualche anno le aziende hanno cominciato di spostare tutta una serie di attività dalla periferia verso il centro. Pensiamo a strutture come il marketing: gran parte delle responsabilità di questo settore nelle multinazionali sono state spostate verso l'headquarter e nei mercati locali le posizioni sono state "impoverite" sia di competenze sia di responsabilità. Sempre continuando con l'esempio, le attività istituzionali dei brand vengono gestite a livello centrale da una struttura che fornisce le linee guida. Nei vari Paesi vengono semplicemente localizzate. Sostanzialmente, tutta una parte strategica di responsabilità che c'era in Italia è stata portata all'estero.

Questo crea delle lacune di opportunità di sbocco per il manager nel nostro Paese, ma si aprono opportunità per muoversi verso l'Europa e oltre.

Qualità della vita: sono cambiate le aspettative dei manager, proprio in funzione dell'internazionalizzazione?

E' sorto un nuovo problema, scaturito dal fatto che contemporaneamente c'è stata una grande attenzione al rapporto qualità della vita privata e qualità della vita professionale, un fattore che magari prima era un po' più sfumato. La disponibilità dei manager di farsi cinque anni all'estero, lavorando in sedi che non sono propriamente Londra o Parigi, ma anche in posti "proviciali", fuori dai grandi circuiti, è venuta meno. Questo è un impedimento piuttosto importante alla mobilità internazionale e conseguentemente alla possibilità di fare carriera.

Quali sono, secondo Eurosearch, le caratteristiche di un manager moderno?

Dando per scontato che un manager parla molto bene le lingue, a partire dall'inglese, deve avere una buona disponibilità a muoversi lasciando l'Italia e le certezze del Paese d'origine.

Nel nostro storico, tutto si trasforma in "esperienze" positive, anche se in partenza c'erano grosse resistenze. Non esistono delle formule per i manager che vogliono muoversi. Oltre alla flessibilità internazionale e all'apertura mentale, contentemporaneamente ci sono altri elementi importanti che stanno diventando delle tendenze. 
Le aziende che hanno bisogno di manager di un certo livello non sono più solo le multinazionali, ma anche le piccole e medie imprese italiane che hanno una struttura che una volta veniva definita "padronale". Questo porta con se delle caratteristiche di valori organizzativi e capacità di muoversi in contesti destrutturati che non è tanto comune. Da una parte c'è la tendenza e la capacità di essere di mentalità internazionale, dall'altra la flessibilità di adattarsi a sistemi organizzativi che non sono cosi' consolidati.
Solo una questione di aspettative?

No, perché oggi non non è più necessario per poter lavorare bene avere a disposizione trenta segretarie e un pool di riporti organizzativi, perché queste situazioni stanno diminuendo.

A parte i grandi colossi, è difficile che si ritrovi un'organizzazione simile nelle aziende moderne. Un manager che è abituato ad essere supportato da strutture che poi in qualche modo svolgono un'attività operativa non è più tanto richiesto. Al di là delle competenze che cambiano, perché ci si puo' essere specializzati in marketing, finanza e via di seguito, conta la personalità e lo stile di management. Essere capaci di adattare la propria professionalità rispetto all'ambiente in cui si opera è una delle qualità più apprezzate.

Adattarsi non è mai semplice...

E' una qualità difficile, perché la maggior parte delle situazioni sconvenienti cui ci siamo trovati di fronte sono state quelle nelle quali i candidati non si adattavano. Per fortuna poche, ma succede. Non dipende dalle loro competenze, ma proprio dalla capacità di adattarsi a scenari che sono fatalmente diversi. Se pensiamo alla figura di manager con lo stile delle multinazionali americane, che sono in competizione tra loro, che cercano di primeggiare rispetto al team, ecco, queste caratteristiche sono superate.
Questo vale anche per i giovani manager?

Questo è un punto di partenza molto importante anche per i giovani: credere nel lavoro di squadra, sapere che i titoli e le qualifiche non rappresentano sempre le aree di responsabilità che si devono gestire, perché oggi non è tutto cosi' semplice.


Ci sono aziende che danno dei job title estremamente roboanti ma che in realtà hanno profili e perimetri di responsabilità molto piu' limitati rispetto ad altri che invece non puntano su questo tipo di organizzazione.

Il manager italiano parte da una posizione di vantaggio o di svantaggio nel mercato del lavoro internazionale?

Il nostro network internazionale, che adesso copre quasi tutta l'Europa, ci permette di fare paragoni interessanti sui nostri manager. Noi abbiamo per tradizione una capacità di adattarci molto più alta rispetto ad altri Paesi. I nostri manager sono apprezzati per questo e questo li rende molto appetibili da parte delle azienche che cercano queste figure.

Voi siete degli "head hunter". Come operate concretamente e come si sta evolvendo il vostro lavoro?

Esitono dati che sono molto soggettivi, perché il nostro lavoro si basa sui rapporti e sulla fiducia. Eurosearch è stata la prima società italiana a fare questa attività, nel 1969 abbiamo iniziato a proporci sul mercato. Il lavoro di cacciatori di teste nel 1969 era molto più complicato rispetto ad oggi.


Non c'erano i telefonini, le mail e bisognava chiamare le persone a casa, magari di sera. La parte di investigazione, di ricerca e di spiegare il valore aggiunto che potevamo portare alle aziende e ai manager, era molto più difficile rispetto a oggi. Da questo punto di vista c'è stata un'evoluzione grazie agli strumenti, fino a giungere ai social network che rappresentano opportunità per le ricerche, ma in questo momento tutti questi strumenti sono spesso dei competitor per la parte più bassa in termine di qualifiche. E' quella che svolgiamo con la divisione "Selpe", che significa selezione del personale, che è prioprio solo un'attività di selezione. La ricerca di Eurosearch per i manager di fascia alta avviene invece in maniera "storica", quasi artigianale, e si svolge con un'analisi degli scenari competitivi in cui l'azienda-cliente svolge la propria attività di business e quindi necessita di investigazioni dirette e profonde sulle funzioni dove noi riteniamo ci siano le competenze che si stanno cercando. Dopo di che si affronta la selezione dei candidati attraverso chiamate telefoniche, per presentarsi e per capire se c'è una possibilità di incontro.


Da li' si procede alla selezione fino alla presentazione al cliente dei candidati. Naturalmente, questo metodo di ricerca è attivo: non si aspetta che le persone rispondano a delle inserzioni che, per quanto fatte bene, sono rivolte a persone che già vogliono cambiare lavoro. 
Noi cerchiamo invece soggetti che sono già in una determinata posizione e in un ruolo, e lo stanno tenendo bene: noi dobbiamo rompere le uova nel paniere per vedere se sono disponibili al cambiamento e se sono interessati al progetto.

Qual è il vostro valore aggiunto?

Cercare persone competenti che mai avrebbero pensato di cambiare azienda o ruolo è il nostro valore aggiunto. Perché non cerchiamo solo nel mercato nel lavoro, ma in tutti gli ambiti in cui si trova un manager. Noi effettuiamo una ricerca attiva perché si accede a una fetta del mercato del lavoro che non è alla ricerca di una posizione. In questo modo forniamo noi un benchmark delle competenze e delle strutture organizzative e dei processi organizzativi piuttosto completo, che puo' dare degli spunti per un'evoluzione futura.



Tornando ai manager: carriera, performance, successi e insuccessi. Quanto contano nel loro destino?

Spesso il destino delle persone che lavorano nell'azienda oggi non è legato unicamente alla propria performance all'interno dell'organizzazione in cui lavorano, ma queste carriere subiscono stop o accelerazioni per motivi che sono esterni. Facciamo l'esempio dei fondi che comprano le aziende e che poi decidono di cambiare il top management perchè si vogliono inserire altre professionalità e persone di loro fiducia. Questo genera la fuoriuscita di persone dalle aziende e manager che cercano quindi lavoro. Quasi sempre queste persone hanno le competenze corrette e hanno ottenuto performance buone, ma si trovano fuori dal'azienda e non dipende da loro o dalle loro capacità e competenze. Questi soggetti sono sul mercato. Ma chi è senza lavoro non necessariamente è una persona scartata dalle aziende: spesso è estremamente competente ma ha avuto un po' di sfortuna.

Che consigli vi sentite di dare ai giovani manager?

Ai manager intorno ai trentacinque anni che vogliono sviluppare la propria carriera consigliamo di essere il più possibile generalisti nelle capacità di gestire le competenze manageriali: flessibili di mentalità, dialogare con i diversi reparti, mettere insieme le istanza che vengono da diverse funzioni e non aspettarsi di poter crescere con il tempo, perché quest'epoca è finita.


Bisogna essere proattivi e non bisogna avere paura di chiedere, perché le aziende quasi sempre attendono fino a che tu non chiedi, e bisogna dare un'accelerazione. D'altra parte, non è più il tempo di accelerare la propria carriera verso i cambi di azienda come accadeva fino agli anni 2000. Allora le persone cambiavano posto frequentemente, e noi trovavamo dei fenomeni per cui  - in aziende più o meno equiparabili in termini di fatturato e sistema di business  - i manager guadagnavano cifre molto diverse. E dove guadagnavano di più coloro che avevano cambiato più aziende e meno chi era stato fedele. In questo momento sta avvendendo il contrario, ossia viene premiata la "fedeltà" con percorsi di carriera, di avere visibilità sul proprio futuro. Ma nessuno è in grado di metterlo per iscritto e il mercato è quello che è: va e viene e non ci sono certezze.

Parliamo di startup: cosa sta accadendo, dal vostro punto di vista, per la ricerca dei manager?

Io ho due idee di startup: quelle che nascono da idee di imprenditori che cercano il capitale per svilupparsi, e poi quelle che nascono da una nuova funzione o canale.


Per fare un'esempio concreto di queste seconde start up, pensiamo a un'azienda già esistente che decide di essere presente in un altro canale e crea una struttura nuova. Si tratta di due tipologie di startup che devono essere trattate in modo differente. Questo secondo caso è quello più facilmente identificabile dal nostro punto di vista perché le aziende sono abituate a usare i nostri servizi e noi possiamo reperire sul mercato queste competenze. Per le start up "vere" il problema è duplice. Da una parte mancano i fondi per fare le cose fatte bene e in maniera completa, dall'altra mancano le competenze. Questi imprenditori sono davvero in gamba perché si arrabattano per far nascere un progetto e farlo crescere e sviluppare, ma mancano le competenze perché di natura nascono su concetti innovativi.

Il mercato del lavoro è in evoluzione: quante volte vi hanno fatto la domanda sulle posizioni più ambite nei prossimi anni?

Tantissime, ma noi oggi non possiamo sapere quali posizioni saranno richieste tra cinque anni e questo vale soprattutto per le competenze e risorse che devono essere inserite nelle startup.


Noi spesso facciamo fatica a identificare sul mercato quello che richiedono queste nuove aziende e questi nuovi progetti. Ecco che torna la flessibilità e l'esperienza all'estero, perché viene premiato nelle selezioni e nelle ricerche le persone che sono flessibili che sanno espiantare una competenza che hanno sempre utilizzato in un certo modo e impiantarla con altri obiettivi e in altri scenari. Stando all'estero hanno vissuto esperienze diverse, si sono confrontate con problemi diversi, hanno potuto incrociare culture differenti e sono quindi arricchite perché possono portare del valore aggiunto che in uno scenario di novità è ovviamente prezioso.

Chiudiamo con una nota positiva: quali sono i settori che oggi vanno bene?

I settori di per sé possono rappresentare un silos che puo' andare bene o male perche' ha dei confini illimitati, ma non necessariamente lavorare in un settore che in generale va bene vuol dire che la nostra azienda va bene. Il fashion è un settore che funziona e le cose stanno andando bene, il farmaceutico è un altro settore che va bene, le nuove tecnologie funzionano, ma anche le aziende che lavorano su impianti o macchine industriali, anche se non si tratta di settori "frizzanti".


Notiamo che c'è una forte richiesta di recruiting e si suppone anche una forte crescita di fatturato. Questo avviene perché hanno delle idee e perché lavorano con l'estero. Queste aziende non sono famose e stanno in provincia, anche nel sud. Ho in mente un'azienda nel sud, attiva nel campo delle macchine per fare etichette, che si sta sviluppando a due cifre da molto tempo e tiene un profilo molto basso, non è conosciuta ma fa le cose molto bene. I settori possono aiutare se crescono a livello globale, ma se non si hanno dei progetti interessanti e non si è capaci di legarsi a uno sviluppo all'estero, li' il rischio di "correre moltissimo per rimanere fermi" è molto alto. Non c'è una ricetta, ci sono delle macrotendenze e poi ci solo le singole aziende, i singoli progetti.
 


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