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03/12/2014

economia

Fine del QE in USA, inizio del processo di normalizzazione

Secondo AXA IM i mercati si sono quasi assuefatti alla liquidità. Probabilmente ci dovremo abituare a una volatilità più elevata

I mercati hanno rimbalzato rispetto ai minimi di metà ottobre (MSCI World: +7% in valuta locale; rendimenti dei Treasury a 10 anni: 2,3%). Eppure il braccio di ferro continua tra le preoccupazioni per la crescita/inflazione da una parte e la liquidità in aumento dall'altra. Le dichiarazioni e gli interventi della Banca del Giappone sono un esempio perfetto di queste dinamiche, mentre la Fed sembra più fiduciosa in merito alle prospettive dell'economia e ha deciso di porre fine al Quantitative Easing.
Praticamente i mercati si sono quasi assuefatti alla liquidità. Per quanto rappresenti un fattore positivo, la liquidità aggiuntiva in yen (un vantaggio principalmente per il Giappone) o in euro (liquidità del mercato limitata) indubbiamente è di qualità diversa rispetto al biglietto verde. Probabilmente ci dovremo abituare a una volatilità più
elevata. Inoltre, il divario di attività tra gli Stati Uniti da una parte e il Giappone e l'Area Euro dall'altra sembra in aumento, in linea con la politica monetaria divergente.

Stati Uniti: avanti tutta

Le prime stime sul Pil del 3° trimestre sono molto positive, nonostante l'inflazione dei prezzi al dettaglio al 3,5% (su base trimestrale annualizzata) abbia sovrastimato il ritmo dell'attività "sottostante".

La spesa di famiglie e imprese è pressoché in linea con le nostre previsioni, +0,4% e 1,2% nel trimestre, e rappresenta lo 0,5% della crescita nel trimestre.
Nonostante la crescita costante negli ultimi quattro anni, l'economia americana è solo a metà strada di un ciclo economico a lungo termine. A differenza dei cicli tradizionali, la crescita dopo la Grande Recessione è più contenuta. Ciò dipende dal fatto che la crescita lenta dei salari e il tasso di risparmio relativamente alto hanno gravato sui consumi privati. Ciononostante, l'occupazione robusta, la fiducia dei consumatori (86,9 dopo l'84,6 di settembre), il calo del prezzo del petrolio e del gas, e l'allentamento delle condizioni finanziarie lasciano prevedere una domanda al consumo robusta nei prossimi trimestri.
Nel mese di ottobre i dati del settore manifatturiero appaiono eterogenei, per quanto la maggior parte dei sondaggi indichi un'espansione, convalidata anche dal surprise gap. Inoltre, la produzione nel mese di settembre ha registrato un rimbalzo, più che compensando il crollo di agosto. Pertanto confermiamo le nostre stime di crescita del 2,7% per il 2015.



L'Area Euro va avanti alla bell'e meglio

Nell'Eurozona, gli indicatori sull'attività delle imprese di settembre e ottobre segnalano una moderata espansione, facendo rientrare le preoccupazioni sulla recessione di inizio ottobre. Mentre dobbiamo aspettare ancora qualche settimana per la stima iniziale sulla crescita del Pil nell'Area Euro, i primi dati sui singoli aesi sono incoraggianti. La Spagna è cresciuta dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, il Belgio dello 0,2%, mentre l'Austria è stabile.
Prevedibilmente, anche Germania e Francia cresceranno, pertanto l'unica grande economia a rallentare nel terzo trimestre sarà probabilmente l'Italia.
In prospettiva, gli indici PMI e la maggior parte degli indicatori delle imprese segnalano un miglioramento nel quarto trimestre. Qualitativamente, restiamo convinti che l'espansione sarà trainata dalle famiglie sulla scorta del miglioramento dell'occupazione e del mercato del credito. In effetti, gli ultimi risultati piuttosto positivi dell'Asset Quality Review nel settore bancario da parte della Banca Centrale Europea potrebbero migliorare l'accesso al credito da parte del settore privato.


È quanto emerge dalla ricerca sul credito di settembre. Nonostante il recente calo del prezzo del petrolio, siamo ancora convinti che l'inflazione nell'Area Euro abbia toccato il livello minimo a settembre. L'inflazione tornerà verso l'1% entro gennaio 2015.

Delude la crescita economica nei mercati emergenti

Lo scenario economico nei mercati emergenti è migliorato leggermente durante l'ultimo mese, come evidenziato dagli indici PMI di ottobre. In prospettiva, prevediamo che l'attività economica riceverà una spinta dagli scambi internazionali grazie a una ripresa stagionale più robusta rispetto agli ultimi anni. Tuttavia, le previsioni a medio termine (come per esempio le aspettative delle multinazionali francesi) sono sottotono e si prevedono nuovi ostacoli.
Il prezzo del petrolio, basso per un periodo prolungato, continuerà a favorire la crescita economica e le prospettive inflazionistiche appaiono favorevoli per le economie emergenti che non esportano petrolio. Analogamente, il deficit delle partite correnti nei mercati emergenti che importano energia migliorerà e le pressioni del mercato collegate all'incertezza per la normalizzazione della politica monetaria negli Stati Uniti dovrebbero diminuire.


Questi sviluppi dovrebbero essere positivi per i mercati emergenti, nonostante qualche esportatore di petrolio, tra cui la Russia, probabilmente dovrà affrontare la flessione dei ricavi derivanti dal petrolio. Inoltre, i governi di alcuni mercati emergenti favorevoli alle riforme, come in India e Indonesia, continueranno ad alimentare il sentiment del mercato.

Addio al QE negli Stati Uniti

Il Federal Open Market Committee (FOMC) ha deciso di chiudere la terza fase di Quantitative Easing a ottobre, come ampiamente previsto. Nella nota di accompagnamento si parla ancora di "tempo considerevole". Eppure il tono della valutazione economica della Federal Reserve sembra orientato verso condizioni più normali, infatti la nota comprende una nuova valutazione dei progressi del mercato del lavoro e cita "un robusto aumento dell'occupazione e un calo della disoccupazione", nonché il "sottoutilizzo della manodopera in graduale diminuzione". È il segnale di un cambiamento rispetto alle recenti valutazioni che parlavano di un "notevole" ristagno del mercato del lavoro.


La Fed ha anche sottolineato che, mentre le prospettive inflazionistiche a breve termine si sono indebolite, il rischio a medio termine che l'inflazione resti al di sotto del target è "in parte rientrato".
I toni sembrano quindi più favorevoli a un rialzo dei tassi. Tuttavia, in considerazione delle recenti turbolenze del mercato e del rallentamento dell'economia, crediamo che il FOMC continuerà ancora con un approccio accomodante nei prossimi incontri, per evitare una rivalutazione non voluta del primo rialzo dei tassi, a meno che l'economia statunitense (e globale) non prenda vigore.
Dopo questo cambiamento nei toni, i mercati hanno rivisto le tempistiche del primo rialzo dei tassi da parte della Fed, prorogandolo leggermente. I mercati prevedono che il primo intervento avverrà nel quarto trimestre del 2015, ma l'attività di trading lascia pensare che potrebbe avvenire nel terzo trimestre. Il recente calo del petrolio dovrebbe favorire la crescita del Pil nei prossimi trimestri, pertanto il mercato del lavoro potrebbe irrigidirsi più rapidamente di quanto previsto dalla Fed. A nostro giudizio, il miglioramento del mercato del lavoro accelererà la decisione rispetto a quanto previsto dai mercati in questo momento, poiché la Federal Reserve soppeserà la bassa inflazione a breve termine con un aumento delle pressioni inflazionistiche a medio termine (attraverso l'aumento del costo unitario del lavoro).


Confermiamo la nostra previsione per cui la Federal Reserve inizierà lentamente la stretta a partire da giugno 2015, per quanto ci rendiamo conto che sono aumentati i rischi che intervenga più tardi, mentre la rivalutazione del dollaro potrebbe influire su questa previsione.
Per quanto concerne la BCE, lo scetticismo del mercato sulle dichiarazioni della banca centrale che si ritiene in grado di sostenere un aumento negli acquisti di attività di 1.000 miliardi di euro appare eccessivo. Gli acquisti saranno lenti e gli ostacoli tecnici numerosi, tuttavia sottostimare l'impegno della Banca Centrale Europea finora è stato controproducente.
La politica monetaria nei mercati emergenti è un caso a parte, come evidenziato dai recenti aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali in Brasile e Russia a sostegno della valuta in difficoltà. A pochi giorni di distanza dalle elezioni presidenziali in Brasile (che hanno portato alla rielezione di stretta misura del Presidente Rousseff), la banca centrale ha sorpreso i mercati innalzando il tasso di interesse di 25 punti base all'11,25%. La banca centrale russa ha innalzato il tasso di interesse di 150 punti base al 9,50%.



A nostro giudizio, una nuova stretta monetaria è possibile da parte di queste banche centrali. I mercati non hanno scontato l'esito delle elezioni presidenziali in Brasile, e ciò non è di buon auspicio per le riforme strutturali di cui il Paese ha disperatamente bisogno per migliorare la competitività, contenere la spesa e controllare l'inflazione. Analogamente, un inasprimento delle sanzioni contro la Russia e un aumento delle pressioni valutarie potrebbero rendere necessari nuovi rialzi dei tassi. Altrove, le banche centrali dei mercati emergenti continuano a tagliare i tassi di interesse, come in Romania e Cile poiché l'inflazione è inferiore al target e l'attività ristagna.

Aumenta la volatilità: le conseguenze non volute di un "sistema più sicuro"

Durante la settimana del 13 ottobre, la volatilità è salita molto su tutti i mercati finanziari. La corsa verso la qualità ha fatto scendere i rendimenti dei Treasury al di sotto del 2%. La variazione giornaliera di circa 35 punti base per i Treasury a 10 anni del 15 ottobre è ancora più sbalorditiva. Storicamente un'oscillazione giornaliera così ampia è stata scatenata dai seguenti fattori:
1) un intervento significativo da parte della banca centrale, come l'annuncio che la Fed avrebbe acquistato titoli del Tesoro nell'ambito di un piano di Quantitative Easing nel marzo 2009, o l'introduzione della forward guidance nell'agosto 2011.



2) uno sconvolgimento dei mercati come il fallimento Lehman nel settembre 2008, la tragedia delll'11 settembre o il caso Enron a fine 2001.
Il peggioramento dello scenario macroeconomico ha raramente avviato un andamento irregolare di questo tipo. Certamente i mercati hanno dovuto digerire una serie di dati piuttosto deludenti. Le stime World Economic Outlook del FMI, le vendite al dettaglio poco brillanti negli Stati Uniti, l'indice Empire State, i verbali di settembre della Fed e i dati manifatturieri in Germania sono i principali fattori di delusione.
Eppure i dati indicano che gli Stati Uniti sono in espansione tra il 2,5% e il 3%, e i rischi di recessione nell'immediato sono minimi. Inoltre, i messaggi eterogeni da parte della Fed diffondono incertezza tra gli investitori in merito ai futuri sviluppi della politica monetaria. Nel weekend dell'11-12 ottobre, il Vice Presidente Stanley Fischer ha dichiarato che il rialzo dei tassi potrebbe essere rinviato. Rincarando la dose, il Presidente della Fed di San Francisco John Williams sembra abbia parlato di una nuova fase di QE. Tuttavia, ciò che ha trainato i mercati sono state le posizioni al ribasso abbinate a una mancanza di profondità, conseguenza diretta delle nuove norme finanziarie introdotte dopo il caso Lehman.



A partire dall'inizio di ottobre, gli investitori si sono preparati a un imminente rialzo dei tassi da parte della Fed. In base ai dati della Commodity Futures Trading Commission, le posizioni nette al ribasso degli investitori speculativi in contratti in Eurodollari (quasi 1.300.000) e in Treasury (scadenze a 2/5/10 anni, 186.555 contratto short, l'equivalente di un valore nominale di 26 miliardi di dollari a scadenza) hanno superato la soglia di 1,5 milioni, l'equivalente di un evento "3 sigma". Oltre metà di queste posizioni al ribasso in Treasury (oltre 15 miliardi di dollari americani) è stata chiusa per l'indebolimento delle condizioni macroeconomiche e/o per le dichiarazioni della Fed. Il pareggiamento delle posizioni per circa 15 miliardi di dollari non basterebbe comunque a provocare questo andamento estremo in un solo giorno.
A seguito del tracollo Lehman sono stati introdotti numerosi cambiamenti strutturali sul mercato, tra cui la legge Dodd-Frank e la Volcker Rule in particolare, che è stata adottata alla fine dell'anno scorso, a limitazione del proprietary trading. Inoltre, sono stati introdotti nuovi requisiti di capitale che impongono limiti più rigorosi alle contrattazioni degli intermediari finanziari.


L'obiettivo di queste regole era di dare più stabilità in caso di tensioni del mercato, ma a nostro giudizio possono provocare l'effetto contrario in caso di forte stress. Le posizioni dei primary dealer sembrano tornate al punto di partenza , e indicano che la loro capacità di immagazzinare il rischio è diminuita molto. Prima della crisi finanziaria, i primary dealer ricoprivano un ruolo essenziale sul mercato in qualità di market maker, immettendo liquidità in caso di brusche oscillazioni del mercato. Ma le posizioni dei primary dealer in titoli del Tesoro hanno subìto un cambiamento strutturale e sono scese costantemente negli ultimi anni, fino a 35 miliardi di dollari a inizio ottobre. Semmai, l'oscillazione del 15 ottobre è stata amplificata dai primary dealer che hanno incrementato le posizioni in Treasury di 27,8 miliardi di dollari a un totale di63,8 miliardi di dollari.
Ora che le posizioni estreme sono state chiuse, le conseguenze non volute di una maggiore sicurezza del sistema dovrebbero rientrare. Ciononostante, le posizioni vanno monitorate molto attentamente poiché questo fenomeno potrebbe riemergere. Il nostro consiglio è di prepararsi a un aumento della volatilità.



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