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15/10/2014

economia

Mercati Emergenti: attenzione alla ricchezza di materie prime svincolata da politiche intelligenti

Losada e Perjessy (AllianceBernstein): I Paesi che hanno optato per una gestione macroeconomica prudente e attuato riforme impopolari hanno visto un aumento in termini di redditi reali e miglioramenti della qualita' del credito

Gli investitori obbligazionari suddividono spesso i mercati emergenti (ME) in due categorie: da una parte gli esportatori di materie prime e dall’altra gli importatori di queste ultime. Riteniamo tuttavia che tale distinzione non tenga conto di un’importante realtà: la ricchezza di materie prime non è l’unico, o il più significativo, driver di performance dei ME.

Indubbiamente un decennio di rincari nei settori energetico, metallurgico e agricolo ha fatto aumentare i redditi nazionali dei paesi ricchi di commodity in America latina, Europa, Africa e Asia centrale. Il Grafico 1 mostra il livello di prosperità derivante dal boom delle materie prime in termini di aumento cumulato del reddito interno lordo reale ascrivibile alla variazione delle ragioni di scambio di ciascun paese. Come previsto, i Paesi ricchi di materie prime come il Venezuela e la Russia hanno assistito a un incremento delle ragioni di scambio, ovvero della differenza relativa tra i prezzi delle importazioni e delle esportazioni, e di conseguenza del reddito reale.

La Turchia, la Corea del Sud e altri paesi dipendenti dall’importazione di commodity invece sono stati penalizzati. Eppure la nostra ricerca dimostra che essere produttori di materie prime non era a quel tempo garanzia di un miglioramento dei fondamentali creditizi e di una crescita più vigorosa. Al giorno d’oggi infatti alcuni dei Paesi in cima alla classifica sono più poveri. Numerosi importatori di materie prime al contrario sono riusciti a superare la tempesta e hanno visto le proprie economie rafforzarsi.

Per quale ragione il boom delle materie prime verificatosi lo scorso decennio non ha avuto un impatto uniforme sui mercati emergenti? Semplice: solo pochi Paesi ricchi di materie prime hanno approfittato del periodo di prosperità e della flessibilità fiscale che ne è derivata per attuare riforme che avrebbero incrementato il potenziale di crescita e diversificato le economie consentendo una dipendenza non eccessiva dalle commodity. Molti altri hanno invece incrementato la spesa destinando risorse a programmi sociali, all’aumento dei salari nel settore pubblico e ad altre iniziative volte a guadagnare sostegno politico.

L’eredità della stabilizzazione dei prezzi delle materie prime in questi paesi è consistita in voragini fiscali e in un esiguo margine politico di manovra per effettuare i tagli. In sintesi, alcuni dei paesi in cima alla classifica del livello di prosperità derivante dal boom delle materie prime sono finiti dalla parte perdente.  

Alle Prese con il Boom delle Materie Prime

 

L’esempio più rappresentativo può essere quello del Venezuela. L’aumento dei prezzi nel settore energetico ha contribuito a far incrementare il reddito interno lordo del Paese di ben il 240% nell’ultimo decennio. Il governo ha tuttavia sperperato gran parte della ricchezza, lasciando il Paese nella stessa condizione di vulnerabilità in cui versava nel 2003. Una situazione simile si è verificata in Ucraina, grande produttrice di metalli, dove il potenziale impatto positivo del boom delle materie prime è stato neutralizzato dalla fuga dei capitali e dall’aumento della spesa voluto dall’élite di governo. Questo Paese potrebbe rappresentare un esempio estremo, ma vale la pena notare che gli indici complessivi relativi all’efficienza e alla responsabilità dell’esecutivo hanno evidenziato un calo nel corso dell’ultimo decennio in tutte le regioni.

La forza delle istituzioni ha infatti subito un deterioramento più marcato negli esportatori di commodity, non negli importatori.

In altre parole, troppi esportatori si sono comportati come se il periodo di prosperità delle materie prime non dovesse mai finire, il che è perfettamente riscontrabile nelle finanze pubbliche dei ME. Se da una parte i saldi pubblici dei mercati emergenti nel loro complesso hanno evidenziato un miglioramento nel corso dell’ultimo decennio, dall’altra gli stessi si sono mediamente deteriorati per gli esportatori di materie prime (Grafico 2).  

Le politiche accorte sono la chiave per il successo

 

Sul fronte opposto, i Paesi in coda alla classifica del livello di prosperità derivante dal boom delle materie prime, o importatori netti di commodity, si sono nel complesso comportati in maniera più disciplinata. Ad esempio, il rialzo dei prezzi nel settore ha costretto la Turchia, importatore netto, ad adeguare le proprie politiche al fine di attutire il colpo inflitto dai rincari degli alimenti e dell’energia. Oggi il Paese attua una politica fiscale più responsabile rispetto al 2003.


Tra i Paesi ricchi di risorse, solo Kazakhstan, Messico, Colombia e Indonesia hanno dimostrato una capacità di miglioramento dei fondamentali nell’ultimo decennio di aumenti dei prezzi delle materie prime. A nostro avviso, la forza delle economie emergenti sta in definitiva nell’accortezza delle scelte politiche. Abbiamo osservato che i Paesi che hanno optato per una gestione macroeconomica prudente e attuato riforme impopolari hanno visto l’aumento più rapido in termini di redditi reali e i miglioramenti più pronunciati per quanto attiene alla qualità del credito, indipendentemente dalla ricchezza di materie prime.

È importante che gli investitori siano a conoscenza di questo aspetto, in quanto sono i Paesi che sono stati più proattivi sul fronte delle riforme a presentare un miglior posizionamento per la crescita e la prosperità, soprattutto se i prezzi delle materie prime dovessero rimanere stabili o calare nei prossimi dieci anni. I nostri risultati sottolineano inoltre l’importanza di adottare un approccio selettivo al momento di investire nel reddito fisso dei mercati emergenti.


Questi ultimi non costituiscono una classe di attività omogenea e le materie prime, per quanto rappresentino un elemento della performance complessiva, non sono certamente l’unica fonte del successo economico.  

Fernando J. Losada e Alexander Perjessy, Senior Economist presso AllianceBernstein rispettivamente per l’America latina e per l’Europa emergente, il Medio Oriente e l’Africa.

 


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