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16/07/2014

economia

Che cosa sta succedendo alle banche europee in questi giorni?

van der Heijden (Kempen Capital): La caccia al rendimento, causata dagli ingenti flussi di liquidità immessi sul mercato dalla BCE, sta creando un appetito per il rischio di credito significativo. Attenzione ai "coco" bond, sono solo per gli esperti

Dopo le turbolenze alle quali abbiamo assistito negli anni scorsi come conseguenza della crisi finanziaria mondiale e la grande recessione che ne è seguita, oggi le banche sembrano godere di una presa più salda. A parte gli scandali sulla manipolazione dei prezzi e la lunga controversia tra gli Stati Uniti e le banche svizzere, il sistema bancario in Europa sembra essere ritornato al vecchio e noioso modus operandi. O no?

La crisi finanziaria e i salvataggi di molte grandi banche europee con il denaro dei contribuenti hanno cambiato in maniera drastica il modo di vedere dei cittadini. Le banche, prima percepite come strutture solide, all’improvviso sono state ritenute fonte di gravi rischi per la società. Piccole nazioni con banche molto grandi, come i Paesi Bassi, la Svizzera o addirittura l’Islanda, hanno toccato con mano quanto fossero vulnerabili agli errori compiuti da pochi individui a capo dell’elite finanziaria. La reazione è ormai nota a tutti: un’ondata di provvedimenti normativi associati ad azioni di pressione sulle banche affinché facciano pulizia nei loro bilanci e riducano le attività di investment banking.

Nel frattempo il sistema finanziario è corroborato da abbondante liquidità in arrivo dalla BCE che in una certa misura allenta lo stress creditizio del settore privato, mentre le banche si leccano le ferite. La pulizia dei bilanci delle banche è ancora in corso e sarà ulteriormente agevolata ma anche posta sotto esame dalle misure della BCE annunciate nell’ultima conferenza stampa di Draghi. L’Asset Quality Review dovrebbe accrescere l’attenzione dei consigli di amministrazione e porre dei paletti al processo di deleveraging. Le cessioni di asset e la ridefinizione delle strutture patrimoniali sono in fase di accelerazione. La caccia al rendimento, causata dagli ingenti flussi di liquidità immessi sul mercato dalla BCE, sta creando un appetito per il rischio di credito significativo. Le cessioni di asset sono effettuate tramite strutture cartolarizzate oppure sono vendute direttamente agli hedge fund. Questo dovrebbe liberare i capitali di cui necessitano le piccole e medie aziende europee per far ripartire l’attività e dare l’input al ciclo economico, soprattutto laddove è ancora stagnante, come nell’Europa meridionale.

Un’altra tendenza poco percepita in questo contesto è la riclassificazione del rischio di credito delle diverse tipologie di creditori delle banche. La nozione del salvataggio delle banche da parte dei governi con denaro pubblico (“bail-out”) non è più politicamente accettata e si è evoluta in uno scenario di salvataggio interno (“bail-in”). Questo cambia significativamente il profilo di rischio dei possessori di obbligazioni bancarie, perché gli obbligazionisti non possono più aspettarsi che i governi nazionali si facciano carico delle potenziali perdite su crediti in caso di fallimento di una banca. I risparmiatori sono politicamente più amati dei detentori di obbligazioni senior non garantite, quindi la preferenza verso i risparmiatori in caso di fallimento si ripercuote rapidamente sul capitale degli obbligazionisti. Per capire meglio questa dinamica, dobbiamo tener presente che in genere la raccolta delle banche è costituita in larghissima misura da capitale derivante da depositi. Questo significa che, se i risparmiatori non devono condividere il peso di un eventuale dissesto con gli obbligazionisti, una perdita complessiva (“haircut”) del 15%, per esempio, si traduce subito in un haircut del 100% del valore delle obbligazioni se esse rappresentano il 15% delle consistenze totali, mentre il restante 85% di depositi non viene toccato.


In conclusione, essendo ormai chiare le nuove norme sulla solvibilità e la tassazione, le banche stanno emettendo strumenti con diversi livelli di seniority nella struttura creditizia. I “coco” bond (contingent convertible bond) sono un buon esempio di questa tendenza, a metà strada tra il tradizionale Tier 1 capital e l’equity. I “coco” sono obbligazioni a scadenza indeterminata che non presentano incentivi per l’emittente per il rimborso del capitale e con un’ampia discrezionalità sulle cedole. L’assorbimento delle perdite è generalmente collegato a livelli di Tier 1 capital inferiori alle soglie regolamentari, e la riduzione delle cedole avviene a livelli molto superiori al minimo. Queste caratteristiche rendono queste obbligazioni più vulnerabili alle perdite, anche più del capitale azionario delle banche. Va da sé che investire in questo genere di strumenti richiede una profonda conoscenza del business e dei bilanci delle banche emittenti. La caccia al rendimento si ferma al capitale azionario, ma questi strumenti possono portarci ad oltrepassare anche questa frontiera!

 

Alain van der Heijden, Senior Portfolio Manager Euro Credits Kempen Capital Management

 

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