Editoriale - Quando i dati statistici sono opinabili
L’Istat ha diffuso in questi giorni dati per certi aspetti in contrasto tra loro. Da un lato, l’indice di fiducia dei consumatori che sale a 105,4 da 101,9 del mese di marzo. Dall’altro la fiducia delle imprese scende a 88,8 da 89,5 e le vendite del commercio che a febbraio diminuiscono dello 0,2% su gennaio e dell’1% in un anno. Senza contare che l’inflazione ha visto un ultima rilevazione di +0,4%. E’ chiaro che in un clima di deflazione ormai conclamata non saranno certo gli 80 euro in busta paga di pochi ad aver aumentato la fiducia generale, cosi' come la frenata della discesa del Pil (sperando in una risalita) mal si accorda con sentiment delle aziende. Ci deve esser qualcosa di piu' articolato, che la parte produttiva del Paese tocca con mano e sicuramente sfugge alle rilevazioni. Sara' forse l’aumento della tassazione (sotto varie forme) annunciato?
Queste semplici cose, per chi non ha l’export (peraltro in contrazione) come core business, sono una realta' che nelle statistiche alla Trilussa non si trova. Piccole imprese, partite IVA e commercianti vedono i propri fatturati calare mese dopo mese ormai da anni.
Aumentare la pressione fiscale in deflazione e' come fare un prelievo di sangue ad un anemico, sperando che si senta meglio e si riprenda. Altro che taglio del cuneo fiscale.
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