Editoriale - Come si dice lavoro in tedesco?
“Un continente con milioni di disoccupati senza speranza non puo' restare unito a lungo”. Queste le parole del ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, a un convegno della Bertelsmann Foundation, a margine dei lavori del FMI.
Difficile dargli torto. Ma se parliamo di lavoro, che cosa intendiamo? Di certo non i minijobs tedeschi frutto della Riforma Hartz sotto il governo Schroeder (Agenda 2010), che fanno della Germania il secondo Paese dell’area euro per poverta' salariale.
Anche perche' temiamo che coloro che parlano di adottare il sistema tedesco, ne notino solamente i benefici in termini di surplus commerciale o tasso di disoccupazione. Ma non conoscono evidentemente una realta' fatta da milioni di persone con salario mensile di 450 euro, in uno stato che ha visto dal 1995 ad oggi i centri di distribuzione viveri agli indigenti passare da 35 a oltre 900. Centri frequentati da almeno 1,5 milioni di persone che aumentano ogni giorno. Sinn (IFO) afferma che questa deriva e' il frutto dell’Agenda 2010, e parliamo di uno dei piu' ascoltati consiglieri della Merkel.
Non passa giorno in cui qualche esimio esponente tedesco o dell’UE non ci “consigli” di continuare sulla strada della compressione salariale per ritrovare quella competitivita' sui mercati esteri che e' stata compromessa dall’euro.
A costoro sarebbe bene rispondere che se il taglio del debito pubblico si accompagnasse alla riduzione degli stipendi, sarebbe veramente impossibile rilanciare i consumi interni, vera fonte di entrate per le casse dello stato. E il periodo di deflazione proseguirebbe senza freni. E senza consumi interni, pur in un surplus commerciale da export, difficilmente crescerebbe significativamente anche l’occupazione. A meno di istituire i mini jobs alla tedesca anche in Italia. Ma poi come vive una famiglia con 450 euro al mese e un mutuo da pagare?
Claudio GandolfoIdee e opinioni
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