Editoriale
Abbiamo bisogno di scelte coraggiose
Che i banchieri centrali non siano dotati di poteri magici e divinatori, l’hanno capito
tutti da tempo. Per molti, sono affidabili come i meteorologi di un tempo: difficle che ci
azzeccassero nel medio-lungo termine. Però è innegabile che con le loro esternazioni e
prese di posizione influenzino quasi in tempo reale le politiche economiche dei governi.
Negli ultimi anni, complice la crisi finanziaria, la loro reputazione ha vissuto di alti e bassi
come non mai. Ultimamente in Europa, specialmente dopo il pericolo default di alcuni
stati, le dichiarazioni si sono fatte più prudenti, quasi lapalissiane, specialmente in tema
di conti pubblici. Per esempio, recentemente Trichet, a capo della BCE, ha parlato di
“sviluppo delle politiche fiscali nell’euroarea in linea con le aspettative”, aggiungendo
poi però che in alcuni Paesi “l’ambiente macroeconomico più favorevole del previsto
dovrebbe essere sfruttato per compiere progressi maggiori sul fronte del consolidamento”
dei conti. Trichet ha poi invitato “quei Paesi che, invece, devono ancora adottare misure
supplementari per raggiungere gli obiettivi previsti a farlo il più rapidamente possibile.
Si tratta di un prerequisito per mantenere la fiducia nella credibilità degli obiettivi fiscali”.
Condivisibile, ma come conciliare le politica di bilancio e fiscali con la persistente
disoccupazione, specialmente giovanile, e le difficoltà di imprese e famiglie? Senza
contare la necessità di rilancio del mercato interno europeo. E, come da copione, non
poteva mancare l’auspicio: “servono riforme ampie soprattutto in quei Paesi che in
passato hanno sperimentato perdita di competitività o hanno grandi deficit fiscali e della
bilancia commerciale”. Come non dargli ragione? Ma la competitività non si recupera per
decreto, così come i posti di lavoro non si creano per legge. Se guardiamo all’Italia, per
consolidare i segnali di ripresa occorrono liberalizzazioni, accordi commerciali efficaci,
ma soprattutto investimenti, pubblici e privati, che immettano sul mercato credito alle
aziende e liquidità. Occorre che le banche tornino a operare nell’economia reale con
un atteggiamento diverso da quello mostrato negli ultimi anni. E che il mercato del
lavoro riacquisti dinamicità. Le imprese non chiedono altro che di
ricominciare a lavorare. A livello europeo, e anche italiano, i segnali
positivi ci sono. L’inflazione è bene o male sotto controllo. E anche la
fiducia nella popolazione sta migliorando. Gli indici di produzione e
di esportazione, dopo un lungo periodo negativo stanno crescendo,
seppur in modo disomogeneo.
Una situazione che richiede scelte coraggiose, non dichiarazioni
conservative e scolastiche.
Claudio C. Gandolfo
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19/7/97
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