The Italian Job delle nostre banche
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Gli stress test dell’EBA di venerdì catalizzeranno le attenzioni del mercato, poiché gli investitori vogliono valutare i possibili rischi di una eventuale crisi bancaria in Europa.



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- I riflettori sono puntati sul debito delle banche italiane;
- Il Fondo Atlante sta cercando di sanare la crisi del settore;
- Il debito bancario subordinato è stato venduto per anni ai piccoli risparmiatori.
Mentre la crisi del debito dell’Eurozona - che, al suo punto massimo, ha minacciato seriamente di colpire diversi Paesi aderenti alla moneta unica - si fa vedere negli specchietti retrovisori degli investitori, uno dei principali problemi, irrisolto ormai da anni, è l’immensa quantità di debito incagliato accumulato del settore bancario del Belpaese.
Tale problema è tornato alla ribalta a seguito dell’introduzione delle nuove normative sui non- performing loans, applicate dall’Autorità Bancaria Europea dall’inizio dell’anno in corso. Il sistema bancario italiano, secondo le stime, detiene circa 400 miliardi di debito in sofferenza, per il quale è ora giunto il momento di mettere mano al portafoglio e incrementare i ratio patrimoniali, per evitare che le banche più colpite da tali esposizioni possano giungere alla soglia dell’insolvenza.

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In risposta a tale problematica, il Governo Italiano è corso ai ripari favorendo il lancio, all’inizio dell’anno, del fondo Atlante, con l’obiettivo di finanziare ed acquistare tranche di debito in sofferenza delle banche italiane, al fine di alleggerirne i bilanci. Con i soli 5 miliardi di euro a disposizione, l’impresa per Atlante sembra improba. L’Italia sembra quindi tentare la strada dell’immissione diretta di capitale nelle banche coinvolte, iniziativa di successo negli USA ed in altri Paesi durante la crisi bancaria del 2008.
Tuttavia, ciò risulterebbe in contrasto con le nuove regole sull’unione bancaria e con la disciplina del bail-in. Tali regole, in atto al fine di contrastare l’ingerenza dei governi in tali contesti, vieterebbe l’immissione di capitale diretta nelle banche private senza che gli azionisti ed i possessori di obbligazioni subordinate non abbiano scontato l’effetto di tali perdite. Tale scenario ripercorre quanto già accaduto al Banco Espirito Santo (in Portogallo) nel 2014. Sembrerebbe difficile sostenere una eventuale deroga a quanto stabilito dalle normative per l’Italia per affrontare la situazione nelle quale si trovano alcune delle banche del suo territorio.

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Non è detto, però, che le situazioni di cui sopra siano uguali. In Italia, il debito bancario subordinato è stato venduto per ingenti importi a schiere di piccoli risparmiatori, invece che agli investitori professionali e istituzionali, come prassi richiede. Ciò ha fatto scattare l’allarme rosso tra i banchi del Governo di Roma, dato che le persone coinvolte in tale circostanza rappresenterebbero anche una gran parte dell’elettorato che i governanti vorrebbero tutelare.
Tali problematiche stanno creando implicazioni che vanno ben oltre il confine nazionali: tutti gli occhi dell’Europa sono rivolti a quanto potrà accadere al settore bancario italiano. Come agirà l’Unione Europea, giocherà duro tenendo fede alle sue regole oppure chiuderà un occhio, per evitare frizioni politiche ed eventuali contagi?
L’atteggiamento della UE al riguardo non potrà che impattare il mercato del debito bancario subordinato a livello europeo, mercato nel quale gli investitori cercano di capire quale sia l’operatore “too big to fail” e quale invece non lo sia. I titoli di tale comparto sono stati quelli tra i meno performanti nel settore del credito europeo nel 2016 e i differenziali sono ancora molto alti, al contrario degli altri settori.



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Tale situazione può essere invertita qualora agli investitori venga data, ancora una volta, rassicurazione sull’eventuale intervento pubblico.

Michael Boye, Fixed Income trader di Saxo Bank

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