Davos PwC: il 90% dei CEO italiani è fiducioso sulla crescita aziendale a 3 anni
Davos PwC: il 90% dei CEO italiani è fiducioso sulla crescita aziendale a 3 anni


Secondo la PwC CEO Survey presentata a Davos, i CEO italiani continuano ad avere fiducia sulle prospettive delle loro aziende a 3 anni (90%), in misura crescente rispetto al 2019 (84%) e su livelli comparabili a quelli degli altri grandi paesi industrializzati a livello mondiale. Il dato della fiducia a 12 mesi è invece in leggera diminuzione (68% contro il 70% del 2019) influenzato dal clima di tensione dell’ultimo periodo. Nicola Anzivino, Partner di PwC Italia, commenta: “Le risposte ricevute sono confortanti, chiaramente evidenziano una significativa resilienza del tessuto produttivo italiano; siamo ancora industrialmente sani e capaci di affrontare le incertezze macroeconomiche e geopolitiche attese per il 2020 e per gli anni successivi, puntando a nuovi investimenti orientati soprattutto a digitalizzare gli ambiti produttivi e rendere i nostri prodotti ad alto contenuto tecnologico”. Il 32% dei CEO italiani dichiara di star facendo fronte alle recenti sfide orientando le proprie strategie di crescita verso aree geografiche alternative, un livello più alto rispetto alla media globale del 26%. Anzivino commenta: “I CEO italiani stanno cercando di ridurre la propria dipendenza industriale dai partner europei guardando anche ad altre aree del mondo, con strumenti di internazionalizzazione più ampi e sofisticati del passato quali JVs e alleanze strategiche. La vocazione internazionale delle aziende italiane continuerà anche nel futuro ad essere un elemento distintivo e di valore aggiunto del nostro sistema produttivo”. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici e relativi danni ambientali, i CEO italiani si dichiarano preoccupati, ma in misura sicuramente inferiore rispetto al resto del mondo: esprime questa preoccupazione il 52% dei CEO italiani, contro una media globale del 64%. “Il tema dei cambiamenti climatici sta sempre più occupando un ruolo prioritario nelle agende dei CEO italiani, anche se ancora in misura ridotta rispetto a quanto succede all’estero”, commenta Anzivino, e aggiunge: “molti stanno ancora valutando quali implicazioni di natura commerciale ed industriale potrebbe avere una riconfigurazione green della propria carbon footprint aziendale, anche se purtroppo bisogna ricordarsi che i tempi per agire sono stretti”. In un contesto complesso ed incerto come quello delineato, i CEO italiani stanno pianificando le medesime strategie di risposta registrate a livello globale, puntando in particolar modo su un aumento dell’efficienza operativa (Italia 65%, Mondo 77%), della crescita organica (Italia 50%, Mondo 70%) e sul lancio di nuovi prodotti (Italia 42%, Mondo 60%). I CEO italiani continuano inoltre a guardare con interesse allo sviluppo tramite alleanze strategiche o JVs per assicurarsi un percorso di crescita soprattutto internazionale (40% nel 2020, in crescita rispetto all’anno precedente che era pari al 28%); su questo tema, a livello mondiale, si registra invece una leggera flessione di due punti percentuali (38% contro il 40% per il 2019). Stanno diventando più aggressivi che in passato nella ricerca di opportunità di collaborazione a 360 gradi con partner esteri. In tale contesto, rimane molto significativa la volontà di valorizzare il proprio Know How operativo ed industriale su mercati alternativi, con un’offerta ben focalizzata alle esigenze locali. Il 52% dei CEO italiani ritiene che internet sarà sempre più visto come una piattaforma che divide le persone, diffonde la disinformazione e facilita la manipolazione politica. A questo proposito, è importante segnalare che la disinformazione è percepita dal 45% dei CEO italiani come una potenziale minaccia per la crescita della propria azienda. Anzivino ha commentato: “Le minacce informatiche sono tra i temi di maggior attenzione per i CEO italiani. Nonostante questo, l’action plan non è ancora chiaro e non sembra esistere ancora una roadmap, nel medio termine, per definire gli investimenti necessari per affrontare il tema e trasformare la sicurezza informatica in elemento distintivo della propria cultura e della value proposition aziendale”. I CEO italiani sembrano leggermente meno preoccupati sul tema upskilling, ma, con il 55% (percentuale identica a quella del 2019) la disponibilità di competenze fondamentali si piazza al quarto posto tra i principali fattori di natura aziendale/commerciale percepiti come minacce. Anzivino ha commentato: “I CEO italiani sono convinti che la competizione si stia sempre più spostando sulla capacità di attrarre talenti. Insieme a questo, è forte la necessità di effettuare un significativo upskilling delle risorse già presenti in azienda. L’applicazione sempre più concreta della robotica e dell’intelligenza artificiale renderà ancora più imprescindibile avere competenze qualificate in azienda che possano valorizzare la forza tecnologica e digitale su cui si è investito”. Oltre il 90% dei CEO italiani ha confermato di aver preso in considerazione tutte le strategie per la formazione e l’attrazione dei talenti considerate dalla survey. Nonostante questa presa di coscienza, i risultati di queste operazioni di upskilling sono ancora migliorabili. La percentuale scende all’82% per quanto riguarda il miglioramento nell’acquisizione e nel mantenimento dei talenti; scende poi sotto all’80% per il miglioramento della produttività dei dipendenti, per la riduzione delle lacune nelle competenze, per il miglioramento dell’innovazione e per il miglioramento della crescita commerciale. Oltre il 90% dei CEO italiani ha confermato di aver messo in atto azioni di miglioramento delle aree proposte dalla survey, con picchi del 100% per quanto riguarda il miglioramento delle conoscenze tecnologiche e delle loro potenziali implicazioni e il favoreggiamento del coinvolgimento dei dipendenti sulle competenze necessarie tramite una comunicazione aperta. “I CEO italiani non sono pienamente soddisfatti del ritorno avuto dagli investimenti fatti sul tema upskilling. Molto spesso le aspettative non sono state raggiunte, soprattutto in merito al miglioramento delle competenze e ai correlati temi di motivazione ed incentivazione per applicarle realmente in azienda. Secondo la nostra esperienza il fenomeno è collegato alla limitata pianificazione post-formazione dell’impiego delle nuove competenze e alla mancata evoluzione dei ruoli aziendali in ottica di valorizzazione degli investimenti fatti sul tema” ha aggiunto Anzivino. I CEO italiani registrano sul tema dei cambiamenti climatici un livello di preoccupazione inferiore (52%), il secondo più basso dopo la Cina (45%) e lontanissimo dal tasso della Germania (78%). Inoltre, solo il 43% dei CEO italiani interpellati dichiara di aver stimato i potenziali rischi fisici derivanti da futuri eventi climatici (contro una media globale del 57%) e questo dato potrebbe almeno in parte spiegare il minor livello di preoccupazione in Italia rispetto al resto del mondo. Un gap analogo emerge anche dall’opinione dei CEO rispetto all’interesse degli stakeholders all’approccio aziendale ai cambiamenti climatici: solo il 68% dei CEO italiani ritiene che i propri stakeholders abbiano un interesse per le iniziative condotte in tal senso, contro una media globale del 78%. “I CEO italiani sono consapevoli che un’economia come la nostra, fortemente orientata a produzioni di alto livello e con un forte impiego di tecnologia e Know How tecnico, deve coltivare in modo particolare il tema della brand reputation, non solo nel settore Consumer Markets ma anche Industrial Products. La brand reputation, oltre ai tradizionali aspetti collegati alla qualità dei prodotti ed ai servizi correlati, è sempre legata all’attenzione al tema dell’impatto ambientale delle proprie produzioni, alla gestione degli scarti e al riciclo post utilizzo in un’ottica di economia circolare”.



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